lunedì 26 maggio 2014

La vendetta dei 47 ronin (1941) di Kenji Mizoguchi





Grandioso film che racconta con maestria la vendetta e il sacrificio di 47 uomini onorevoli fedeli fino alla morte al loro padrone e al bushidō. La storia è tratta da un avvenimento realmente accaduto. Un daimyō, durante una cerimonia tenta di uccidere un signore rivale per via di alcune offese che quest'ultimo gli aveva rivolto. A causa di ciò l'aggressore sarà costretto dalle autorità a fare seppuku, mandando così in rovina la famiglia. Oichi, il suo ciambellano, organizzerà una vendetta con 47 samurai che servono la famiglia, verso il signore che il daimyō aveva tentato di uccidere. Questo porterà a grandi conseguenze per la famiglia e per i 47 samurai. La linea narrativa segue un andamento anomalo rispetto alla vicenda raccontata, dato che non vengono mai mostrate le scene di azione o di violenza che sono invece solo raccontate o suggerite dagli altri personaggi. Questo fa sì che tutta l'opera sia composta unicamente dalle scene che riguardano i rapporti fra i personaggi, lasciando completamente fuori ogni altro evento accaduto. Questa scelta l'ho trovata molto interessante, dato che viene gestita molto bene e permette di creare benissimo una rete di relazioni che descrivono e spiegano la società del tempo. Ogni momento è stato studiato bene e non sono presenti dialoghi sciatti o tirati via, ma ognuno di essi contribuisce a dare spessore ai personaggi. Altra cosa che mi è piaciuta molto è come viene trattato il bushidō, che è considerato un dogma inviolabile e nessuno cerca mai di infrangerlo in alcun modo. La devozione dei samurai al loro padrone e a questa dottrina viene descritta benissimo e riesce a risultare realistica e coerente con il microcosmo che viene mostrato. La figura della donna, pur vivendo in una società fortemente maschilista, riesce ad emergere e alcuni personaggi femminili riescono ad avere una forte autorità e un certo spessore. Ovviamente alcune figure sono molto remissive, per via della loro condizione subordinata al padrone. La forte suddivisione in classi del Giappone feudale viene mostrata sotto un luce positiva fin quando viene esplorato il mondo di una famiglia abbastanza aperta che non opprime i servi, mentre viene vista con un'ottica negativa quando vengono mostrati gli intrighi di palazzo e i soprusi che possono essere messi in atto attraverso questo classismo. Questo film è un atto di riconoscimento verso la devozione dei 47 samurai, che per portare a termine il loro obiettivo hanno dimostrato grande tenacia e determinazione. I rapporti umani sono sempre molto formali e freddi, per seguire un etichetta arcaica, ma che rende solenne ogni atto compiuto. L'unico difetto che mi sento di mettere in evidenza è la durata lievemente eccessiva del racconto che, essendo privo di scene eccessivamente ritmate, rischia di risultare un po' troppo lento in alcuni punti, anche se nel complesso non si fanno sentire molto. La regia è molto posata e sfrutta molte inquadrature fisse. Durante i dialoghi non verrà mai sfruttata la tecnica del campo/controcampo, ma la macchina da presa è posta in modo da inquadrare tutti gli interlocutori e lasciando i personaggi a discorrere, muovendosi saltuariamente a destra o sinistra, in caso di movimento. Nel complesso, il ritmo è mantenuto molto buono, vista l'assenza di sequenze concitate, e la narrazione è mantenuta chiara ed intrigante. Stupefacente è come venga mantenuto alto l'interesse semplicemente facendo interagire i personaggi e impostando la narrazione in maniera adeguata. La fotografia e la messa in scena sono ottime, con inquadrature veramente suggestive, soprattutto di interni, con costumi fantastici, aiutati da una ritualità veramente ben fatta e da alcune sequenze molto solenni. Durante tutto il film non passerà mai la sensazione di realismo che scatena la messa in scena. La colonna sonora utilizza brani dai toni classici per quel periodo e riesce così ad infondere ulteriore atmosfera al racconto. Detto ciò, c'è da precisare che le musiche non sono onnipresenti e verranno utilizzate non molto lungo la durata del film. Gli attori danno delle ottime prove attoriali, riuscendo ad esprimere molto bene i ruoli, anche sociali, che sono stati chiamati a ricoprire. Tutto questo è aiutato da un ottimo lavoro di scrittura, che si concentra nei dialoghi molto curati, che mantengono alto l'interesse, anche se alcuni cali eccessivi di ritmo di fanno sentire in momenti isolati della narrazione. I personaggi principali sono approfonditi bene e riescono ad avere un carattere ben definito e riconoscibile, ma anche i comprimari, pur essendo meno strutturati, riescono ad ottenere una propria identità, anche se, a volte, appena accennata. Questo è un grande film storico, che racconta con maestria e un po' di nostalgia una vicenda dove la devozione e la rettitudine sono gli unici valori che contano, intessendo un racconto ben strutturato fatto di uomini di fronte a scelte cruciali per la loro vita.

Godzilla (2014) di Gareth Edwards


Trailer del film


Brutto film su Godzilla che muore sotto il peso del nonsense e degli stereotipi. Il film è il remake dell'originale del 1954, per festeggiare i sessant'anni dall'uscita e lucrare un po' sul brand. La trama racconta del risveglio alcuni mostri, Muto, che erano dormienti, in attesa di assorbire abbastanza radiazioni per poter crescere. I due Muto inizieranno a distruggere ovunque e Godzilla uscirà dagli abissi per dargli la caccia. Nel frattempo sono raccontate anche le vicende di alcuni esseri umani in qualche modo collegati allo studio o all'attacco dei mostri. La linea narrativa è sviluppata malino, dato che i mostri sono mostrati veramente poco e, nei momenti dove vengono analizzati i rapporti fra i personaggi, non c'è quasi mai nulla di interessante che giustifichi le scene inserite. Le creature sono tenute nel mistero per molto tempo e, pure quanto si sono ormai mostrate alla telecamera, vengono inquadrate in maniera sfuggente, non inquadrando i combattimenti, ma mostrando la gente che scappa fra le macerie. Questo potrebbe non essere un male se i personaggi fossero un minimo interessanti e non stereotipati. Ciò che accade è facilmente prevedibile e visto l'impatto degli uomini sullo scontro, mi sono chiesto più volte il senso di quelle linee narrative. Il film ha un inizio convincente, anche grazie a Bryan Cranston che riesce a caratterizzare molto bene il suo personaggio e a dargli una forza inaspettata. Purtroppo lui viene fatto sparire poco dopo l'inizio del film, lasciando la palla a suo figlio, un militare che andrà ad aiutare per sconfiggere i mostri. Da quel punto in poi il film cala molto di qualità e si trascina malamente fino al ridicolo finale. Il tutto è condito da alcune scene involontariamente spassose, come ad esempio i militari che sparano con i fucili alle creature, senza alcun motivo. Altro momento divertente è quando un Muto passa sotto una ferrovia, facendo molta attenzione a non distruggerla, cosa che stona moltissimo con il comportamento finora tenuto. Questo è dovuto a fatto che il protagonista è sui binari e se li distruggesse lo ucciderebbe. Anche i combattimenti, pur essendo la parte migliore del film, non fanno gridare al miracolo, soprattutto dopo aver visto quelli di Pacific Rim, l'ultimo vero omaggio ai kaiju. Uno dei problemi maggiori del film è che c'è un ritmo troppo lento e la semplice trama è diluita su un tempo troppo lungo, tanto da far annoiare in molti punti. Il finale è una delle parti che mi ha fatto più ridere, con Godzilla vincitore, che torna in acqua con la gente che lo guarda affascinata e lo tratta come un eroe, anche se in realtà pure lui ha fracassato tutto senza problemi. Ci mancava solamente l'applauso della folla, come se fosse diventato il difensore dell'umanità. Anche la scena quando lui nuova in mezzo alle portaerei come un animaletto domestico a passeggio, l'ho trovata abbastanza ridicola. Alcune sequenze non sono comunque da buttare, come quella in cui i soldati si lanciano con il paracadute, che ha delle inquadrature veramente suggestive e riuscite. Peccato che questi siano momenti rari e che non risollevano le sorti della pellicola. La pellicola mette involontariamente in ridicolo tutte le forze armate, dato che si comportano in maniera insensata e ridicola. Ci sono inoltre molti momenti forzati nella trama che sono comuni in pellicole mediocri e riescono a banalizzare la situazione. Una delle scene che ho più disprezzato è quella nel quale un cane fugge e si salva da uno tsunami, mentre quelli davanti a lui vengono travolti. Questa segue la classica regola di Hollywood che dice che non può morire nessun cane/bambino nei film destinati ad un pubblico di massa. In questo caso viene data più enfasi alla sorte del cane che al resto della folla e l'ho trovata di cattivo gusto. La regia è non niente di eccezionale, ma non è da buttare, per via di alcune sequenze ben riuscite, ma che vengono compensate da molti cali di qualità che rendono nel complesso il film quasi senza guizzi e scene degne di nota. Peccato perché nella prima parte avevo visto una cura maggiore nella messa in scena. La fotografia non è male e riesce a dare alcuni scorci abbastanza suggestivi, anche se in interni non riesce a mantenere la stessa qualità e durante le sequenze con i mostri lascia un po' a desiderare. La colonna sonora è abbastanza coerente, ma sa di già sentito e non resta impressa. Nel complesso il ritmo non è mantenuto adeguatamente alto e non tutte le scene di azione sono sufficientemente chiare. Gli attori, fatta eccezione per Bryan Cranston che dà una bella prova, sono abbastanza fuori fuoco, per colpa di personaggi bidimensionali che non sono interessanti e risultano abbastanza fastidiosi. Uno dei personaggi peggio sfruttato è lo scienziato che sta tutto il film a dire banalità e a guardare con occhi increduli quello che gli accade intorno senza dare alcun apporto utile. Ciò che rimane è un film veramente mediocre, che non riesce a sfruttare minimamente l'occasione per dare nuova linfa a Godzilla, ma che fa risaltare maggiormente la bravura di Del Toro, che nel fare Pacific Rim ha dettato i nuovi standard per i film di questo genere.

La stanza del figlio (2001) di Nanni Moretti


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Bel film drammatico che analizza benissimo il dramma di un dramma familiare. La storia è quella di una famiglia felice che subisce d'improvviso il lutto del figlio. Da questo evento la vita del nucleo familiare sarà distrutta e risulterà molto difficile ritornare alla normalità. La pellicola inizia presentando la vita felice e tranquilla del nucleo familiare, per poi sconvolgerla improvvisamente con il lutto. Ogni membro della famiglia reagirà diversamente all'evento e i rapporti fra loro si incrineranno a causa della forte sofferenza provata. Il film racconta benissimo le sensazioni e la crisi subita dai protagonisti, mostrando sequenze struggenti in cui i genitori e la sorella del defunto sembrano come svuotati della loro umanità e voglia di vivere. Molto interessante è la figura del padre Giovanni che si colpevolizza ingiustamente per la sorte del figlio, per il fatto di non essere stato con lui il giorno dell'incidente ed essere invece andato da un suo paziente. Il rapporto fra Giovanni e i suoi pazienti risentirà molto del dramma e lui non riuscirà più ad avere un rapporto umano con loro. Una delle cose migliori della pellicola è la sensibilità con cui è raccontata la storia, senza cercare la lacrima facile, ma presentando in maniera realistica e senza enfasi le emozioni e gli stati d'animo dei protagonisti, anche se non mancano alcuni, ma pochissimi, eccessi. Anche i rapporti sociali sono mantenuti molto interessanti con degli scambi di battute profonde e un po' surreali, come è solito nei film di Moretti. Viene creata inoltre una forte empatia con i personaggi grazie ad una messa in scena molto curata e che ha delle trovate d'impatto che riescono ad emozionare molto. Un altro aspetto che rende interessante la vicenda è come emergano gradualmente dettagli sull'incidente e la vita del figlio che forniscono dettagli aggiuntivi così da comporre un quadro complesso e non banale. Interessante come venga mostrato che cercare la socialità e l'affetto di chi ti sta intorno sia il modo migliore per superare una crisi, cosa che non viene inizialmente capita dai membri della famiglia che si isolano in se stessi, cercando risposte e un senso impossibili da trovare. La regia è abbastanza distaccata e misurata, ma riesce comunque a far entrare in forte empatia con i personaggi e riesce ad emozionare molto. I movimenti di macchina sono semplici e lineari, ma efficaci. Il ritmo viene mantenuto adeguato e sono scandite bene le fasi del racconto, così da rendere la storia interessante. Oltre a ciò la regia, che riprende pienamente lo stile del regista, riesce a cambiare tono al racconto con poche inquadrature e questa è una cosa da apprezzare molto. La fotografia è ben fatta, dato che le inquadrature sono strutturate molto bene e riescono ad essere coerenti con ciò che accade su schermo. Alcune inquadrature sono molto riuscite e riescono a avere un buon impatto visivo. Il montaggio è molto curato, con alcune trovate molto riuscite che arricchiscono l'opera, come l'inserimento delle sequenze del giorno del lutto come lo avrebbe voluto Giovanni o il montaggio sonoro durante la chiusura della bara. La colonna sonora comprende pezzi inediti e non, che nel complesso riescono ad amalgamarsi bene e a dare un ulteriore forza alle scene, vista la qualità dei componimenti. Gli attori danno delle belle prove, con Nanni Moretti e Laura Morante sopra a tutti, dato che rendono molto verosimili i propri personaggi. Purtroppo altri interpreti non riescono a lasciare l'impronta voluta, come ad esempio il figlio e la sua amica Arianna che non riescono ad avere l'intensità giusta. Nel complesso comunque i personaggi sono scritti molto bene e sono caratterizzati a dovere, lasciando una buona impressione. In conclusione, questo è un gran bel film che analizza benissimo lo stato d'animo e la situazione di una famiglia sconvolta da una tragedia, il tutto utilizzando una sensibilità unica e che rende il racconto molto emozionante.

martedì 13 maggio 2014

The Land of Hope (2012) di Sion Sono


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Bel film che analizza il dramma delle vittime delle catastrofi e pone una critica verso la società giapponese. La trama racconta le vicende di alcune famiglie che abitano il paese di Nagashima (inventato) in Giappone, dopo l'esplosione della vicina centrale nucleare, a causa di uno tsunami. Questo fatto obbligherà le persone nei dintorni ad evacuare il paese e a trasferirsi nei centri di accoglienza. Yoichi andrà a vivere altrove con la ragazza, mentre i suoi genitori saranno gli unici a rifiutarsi di trasferirsi e rimarranno nella propria abitazione dove hanno sempre vissuto. Nel frattempo due ragazzi fuggiranno dal centro dei rifugiati per andare a ricercare i genitori di lei, dispersi nella zona contaminata. Il film si snoda quindi fra queste tre linee narrative che mostreranno vari aspetti della vicenda e diverse reazioni di fronte al disastro. Nella pellicola viene ben mostrata l'incapacità delle autorità nel gestire la crisi e nell'informare adeguatamente la popolazione. Vengono infatti messi in atto comportamenti privi di senso o avventati che dimostrano l'inadeguatezza delle misure messe in atto. La società giapponese viene inoltre messa sotto accusa, colpevole di aver ricercato uno sviluppo rischioso, che provocherà danni alle generazioni future. Nonostante ciò, i genitori di Yoichi sono mostrati come figure positive, che tengono alle loro origini più della loro stessa vita e decidono di rimanere nella loro casa anche come forma di espiazione per non aver impedito la costruzione della centrale. Loro figlio viene mostrato invece come vittima delle scelte passate e sarà costretto a costruirsi una nuova vita altrove insieme alla ragazza incinta. Quest'ultima diventerà inoltre radiofobica e cercherà in maniera ossessiva di proteggere il suo futuro bambino dalle radiazioni. La sua figura dimostra molta indipendenza, al contrario della madre di Yoichi che, anche per colpa della malattia, risulta molto sottomessa ai voleri del marito che prenderà tutte le decisioni da solo. La giovane coppia che invece aveva deciso di entrare nella zona contaminata dovrà scontrarsi con il fatto che i genitori di lei sono molto probabilmente morti e dovranno farsene una ragione per poter ricominciare una nuova vita. Durante la ricerca si imbatteranno anche in due misteriosi bambini, che spiegheranno indirettamente come il Giappone abbia bisogno di ripartire passo dopo passo ricostruendo il suo futuro gradualmente dalle basi. Le storie sono intrecciate molto bene e insieme vanno a formare un quadro critico, che non lascia molta speranza, ma non nega del tutto la possibilità di una ripresa. Al contrario di Himizu, precedente film del regista, c'è molto più cinismo e una condanna meno generale verso il passato, anche se vengono portati avanti temi simili. Viene sapientemente mostrato e descritto il dramma delle vittime di questi eventi, tenute all'oscuro dei reali pericoli e traumatizzate per via della perdita della propria casa. I loro drammi e paure sono sondati a fondo e risulta impossibile non entrare in empatia con loro. Inoltre alcune scene sono molto significative e arrivano al punto di commuovere, oltre ad avere una forte carica simbolica, come ad esempio, l'albero in fiamme come simbolo della perdita del proprio passato. Viene inoltre portata avanti una critica verso la televisione che viene rappresentata come uno strumento di distrazione che punta a non far pensare e preoccupare la gente, per paura che possa esserci troppa consapevolezza. La regia è ottima con delle sequenze veramente riuscite dal punto di vista visivo e narrativo. Il tono viene mantenuto funereo, ma caloroso, con la morte che aleggia per tutto il film. Esso viene inoltre modificato benissimo, cambiando da situazioni più leggere e spensierate ad altre drammatiche, con un semplice cambio di inquadratura nella stessa scena, grazie ad una tecnica ottima. Purtroppo in questo film viene in parte meno lo stile più surreale e visionario del regista, anche se tecnicamente rimane di alto livello. Il ritmo viene mantenuto adeguato per tutto il film, anche se sono presenti alcuni momenti con dei piccoli cali, che però nel complesso non minano l'esperienza. Anche la messa in scena e la fotografia è veramente ben fatta con scenografie post-apocalittiche molto ispirate e con una fotografia che alterna momenti caldi e freddi con gusto e in maniera riuscita. Dal punto di vista visivo sono molte le scene che restano impresse e c'è una composizione delle inquadrature molto curata. Il montaggio è ben fatto e riesce ad intrecciare bene le linee narrative in modo da renderle comprensibili e facili da seguire, oltre ad avere una buona ricercatezza visiva. La colonna sonora è ben fatta ed ha dei toni vagamente retrò, che ben si adattano alla vicenda. Il sonoro è una delle componenti più riuscite, con degli effetti inseriti per rendere più partecipe lo spettatore delle sensazioni dei personaggi, come il cuore del bambino o il suono del contatore Geiger. Gli attori sono molto convincenti e quasi tutti riescono a tratteggiare personaggi realistici e profondi. Purtroppo non tutti riescono ad avere delle personalità che restano impresse, ma i protagonisti compongono un quadro caratteriale molto variegato. Le interazioni fra di loro sono scritte molto bene e, anche quando la situazione diventa melensa, non dà alcun fastidio, ma anzi risulta adatta alla situazione. Quindi, ci troviamo di fronte ad un bel film, che pur essendo a mio avviso meno riuscito di Himizu, risulta avere una forte carica visiva che fa appassionare molto alla vicenda, riuscendo a descrivere benissimo il dramma vissuto dalle vittime di una catastrofe, portando avanti la storia con uno stile molto ispirato una narrazione chiara ed interessante.

domenica 11 maggio 2014

Infernal Affairs (2002) di Andrew Lau, Alan Mak

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Bellissimo thriller poliziesco che racconta in maniera magistrale la storia di due uomini speculari nei valori, ma simili nello stile. La trama vede intrecciarsi due storie: quella di Chan, giovane cadetto dalle spiccate qualità che verrà infiltrato nella malavita di Honk Hong, e di Lau, giovane malavitoso che viene infiltrato nella polizia per proteggere i traffici di Sam, il suo boss. Nascerà quindi uno scontro fra le due forze, nel quale i due ragazzi, diventati ormai uomini, svolgeranno un ruolo cruciale per favorire la propria parte a costo della vita. Tutto procederà con una serie di eventi molto serrati fino ad un finale non consolatorio, ma anzi molto cinico. Il film è raccontato benissimo, con un ritmo ed una chiarezza eccezionali, oltre a mettere in scena una storia veramente intrigante e sfruttata al 100%. Il tono della pellicola è molto freddo e distaccato senza dare quasi mai enfasi agli avvenimenti, tranne nei momenti in cui questo è necessario. Le sequenze chiave per la storia sono raccontate con trasporto e riescono ad emozionare talmente tanto da far quasi commuovere. Lo spettatore riesce a percepire perfettamente lo stato d'animo dei personaggi ed entra in forte empatia con i due protagonisti. Ciò che manca nel racconto è la pomposità nella quale poteva rischiare di cadere un thriller di questo tipo. Alcune sequenze sono molto belle e sono gestite veramente bene, in modo da dare un ritmo eccellente che le rende indimenticabili, come quella in cui i due infiltrati forniscono informazioni alla rispettive parti, durante il primo scambio di droga. Al centro della vicenda ci sono i due protagonisti, dei quali vengono analizzati molto bene gli stati d'animo e le difficoltà che sono costretti a superare per poter portare avanti la loro recita. Entrambi sono ormai impossibilitati nell'abbandonare il loro ruolo e ciò porta continue difficoltà anche dal punto di vista psicologico. Quello a farne maggiormente le spese è Chan che è costretto a commettere crimini pur di infiltrarsi nelle bande di criminali. Molto interessante è il fatto che i due non sono mostrati completamente buoni o cattivi, ma hanno delle sfaccettature, dato che Chan ha commesso atti deprecabili, anche se a fin di bene, mentre Lau aiuta il suo capo, ma nello stesso momento risolve casi e aiuta la giustizia. Ovviamente il ruolo positivo e negativo sono facilmente assegnabili ai due, ma non sono gestiti con piattezza o in maniera netta e squadrata. Molto bello è anche il rapporto che si crea fra i due, i quali vengono inizialmente a conoscenza l'uno dell'altro senza saperne l'identità, per poi aumentare i punti di contatto e creare uno strano rapporto fra di loro. La trama si concentra più su Chan dato che è lui quello che si mette più in gioco e il suo modo di fare sarà una probabile fonte di ispirazione per l'avversario. La tensione viene mantenuta sempre a livelli adeguati, aumentandola quando serve e facendola scemare nei momenti più introspettivi. Questo è un film molto crudo, che ha andamenti realistici ma crudeli e che non punta sulla violenza fisica, ma su quella psicologica, creando empatia con Chan, per poi fargli subire eventi dolorosi. La regia è molto bella e riesce a mantenere altissimo l'interesse coi personaggi e la vicenda. Anche la tecnica registica è di prim'ordine, con rallenty e velocizzazioni inserite nei momenti opportuni, che danno enfasi alle situazioni cruciali, senza rendere il film roboante, ma mantenendo un basso profilo e un ritmo non elevato che suscita benissimo tensione, anche se nel complesso c'è molto dinamismo. La fotografia è veramente riuscita con delle inquadrature di ampio respiro e altre più claustrofobiche che compongono molto bene le scene. Il montaggio è una delle componenti più riuscite, dato che riesce a comporre delle sequenze veramente ben fatte, molto veloci in alcuni punti, ma comprensibilissime. Viene inoltre utilizzata benissimo la tecnica del montaggio alternato, che regala momenti bellissimi, come nella sequenza in cui i due protagonisti danno informazioni alla propria fazione. La colonna sonora non è male, crea bene l'atmosfera, ma non fa gridare al miracolo. Gli attori sono veramente in forma e, grazie ad un ottimo lavoro di scrittura, riescono a dar vita a dei personaggi caratterizzati molto bene e che restano impressi. Quelli più riusciti sono ovviamente i due protagonisti per via delle loro sfaccettature che non li rendono mai completamente buoni o cattivi. Inoltre anche i due capi sono delineati bene, anche se dimostrano una personalità meno variegata. Molto belli sono i rapporti che si creano fra i personaggi, come quello fra Chan e il suo capo che ricorda un padre con il figlio, oltre ad essere la sua unica ancora di salvezza nel momento in cui tornerà alla vita normale. Quindi nel complesso questo è un thriller meraviglioso, un po' più cinico e più freddo del suo remake, che è realizzato con una tecnica di alto livello e con un lavoro di scrittura che riesce ad intessere una trama intrigante e molto bella che fa appassionare e riesce a raccontare bene i drammi e le emozioni vissute dai personaggi.

martedì 6 maggio 2014

Grand Budapest Hotel (2014) di Wes Anderson


Trailer del film


Bella favola raccontata con uno stile unico e che riesce ad emozionare molto. Il film è strutturato come una storia nella storia, infatti comincia con una ragazza in un parco che legge un libro, per poi passare allo scrittore che spiega come ha ottenuto la storia e finendo con il protagonista della stessa, Zero Moustafa, che la racconta dettagliatamente all'autore. La vicenda narrata descrive come sia riuscito Zero a venire in possesso del Grand Budapest Hotel. Egli descrive quindi minuziosamente tutta la serie di avvenimenti come se venissero letti da un manoscritto, cioè utilizzando molto la propria voce narrante per dare spiegazioni su ciò che sta avvenendo e usando saltuariamente espressioni del tipo "lei disse" e "lui rispose" fra le battute dei dialoghi come se fossero lette dal libro. Questa struttura narrativa risulta essere molto intrigante e riesce ad intessere una serie di relazioni ben strutturata. La storia procede, inoltre, molto bene e riesce a mantenere un buon ritmo suscitando un alto interesse durante tutta la sua durata. Uno degli aspetti che rendono maggiormente intrigante l'opera è senza dubbio il tono con il quale avviene la narrazione, dato che sono utilizzate scelte visive e vengono create delle situazioni che ricordano molto una favola. Una scelta molto azzeccata è stata quella di inserire delle ambientazioni molto caratteristiche e assurde, oltre ad aver inserito intermezzi quasi come se fossero dei cartoni animati (negli spostamenti in alcune zone). La storia raccontata è orchestrata bene e riesce ad emozionare lo spettatore, alternando toni leggeri e spensierati ad avvenimenti più cupi e drammatici. Inoltre è presente un parallelismo fra i militari presenti nel film e i nazisti/fascisti, i quali dimostrano disumanità e ottusità. Essi vengono in parte messi in ridicolo, ma sono mostrati comunque come una minaccia. Fulcro della vicenda è un'eredità contesa fra il direttore dell'hotel, che porta in superficie tutti gli istinti più bassi dei parenti della defunta, convinti di avere diritto sul denaro. Non vengono risparmiati anche alcuni momenti violenti un po' splatter, non esagerati, che riescono comunque a rimanere coerenti con la messa in scena e non risultano forzati o fuori luogo, anche se sono inaspettati in un racconto del genere. Unico neo che ho trovato nella pellicola è l'eccessiva presenza dei dialoghi che sono pressoché onnipresenti durante la storia. In alcuni momenti c'è un uso fin troppo massiccio della parola, che appesantisce la narrazione e sembra voler spiegare per filo e per segno cosa accadde, come se le immagini non fossero in grado di adempiere al compito. Questo aspetto rende tutto più simile ad un racconto vero e proprio, però a mio avviso doveva essere sfruttato meglio e in maniera meno invasiva. La regia è veramente curata e ripropone in pieno lo stile del regista che si basa maggiormente su riprese laterali o frontali degli ambienti e dei personaggi che si muovono nella scena come fossero dentro un quadro. La vicenda viene anche narrata molto bene è c'è molta cura nelle inquadrature e nella strutturazione delle scene. Il tono della pellicola viene mantenuto coerente e viene mantenuto un ritmo serrato che rende il racconto piacevolissimo. Unica cosa che è contestabile a questo modo di girare può essere uno studio fin troppo palese dei movimenti di macchina, che potrebbero far sembrare un po' fredda la regia, anche se, a mio avviso, ciò avviene in misura limitata. La fotografia è veramente ben fatta, con colori accessi e delle ambientazioni molto ispirate che creano un universo immaginario convincente e affascinante. Nonostante il tipo di ripresa utilizzata rischi di donare piattezza alle inquadrature, questo rischio viene evitato grazie alla bella composizione delle ambientazioni che, sviluppandosi in profondità riescono a mantenere un bell'effetto visivo ed evita che le riprese appiattiscano l'azione. Il montaggio è ben fatto e riesce a creare una narrazione comprensibile e ben strutturata. Gli attori sono molto convincenti e riescono a tratteggiare a dovere i propri personaggi, donandoli personalità un po' estremizzate, ma coerenti con il contesto creato. Ogni figura, anche quelle non approfondite, rimane impressa e riescono a risultare interessanti per lo spettatore. Quindi questo è un bel film d'avventura che grazie ad un ottimo stile e ad una messa in scena favolistica riesce ad appassionare e a portare avanti una storia dai risvolti ironici e drammatici con maestria e perizia, facendo passare in secondo piano i pochi difetti.

sabato 3 maggio 2014

Giulietta degli spiriti (1965) di Federico Fellini


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Bellissimo film che analizza l'animo di una donna in crisi, con uno stile surreale indimenticabile. La storia raccontata è quella di Giulietta, una donna sposata che un giorno inizia ad avere sospetti sulla fedeltà del marito, che la porteranno a mettere in discussione le sue certezze. Il suo percorso mentale viene quindi scandagliato a fondo ed è rappresentato attraverso delle allucinazioni e delle situazioni surreali che la aiuteranno nella sua maturazione. La trama è veramente intrigante ed è raccontata benissimo. Vengono seguiti bene in parallelo le scoperte che lei fa sulla sua relazione e il suo stato mentale. Le allucinazioni che ha sono realizzate benissimo e con molta fantasia, oltre ad essere state inserite con maestria nella storia. Viene mantenuto un tono molto cupo durante la narrazione e sono presenti alcuni momenti dai tratti quasi horror, come ad esempio l'incontro di Giulietta con il maestro spirituale. Anche i momenti più allegri a spensierati riescono a cambiare tono con una facilità estrema riuscendo a ribaltare completamente l'ottica su una situazione. Uno degli esempi più lampanti è la festa a casa della vicina, che passa dall'essere allegra, a sembrare un ritrovo per scatenare gli istinti più bassi in maniera vuota e animalesca. Giulietta si troverà sempre a dover combattere fra un'educazione che dà più importanza alle apparenze, portando avanti un perbenismo bigotto, ed il suo desiderio di avere libertà di seguire la sua morale senza bloccarsi per colpa delle sovrastrutture imposte dalla famiglia. Per seguire i consigli dei familiari compierà scelte che non condivide, anche se le permetteranno di avere uno sguardo più lucido sulla sua situazione. Viene anche contrapposta la sua educazione fortemente cattolica, che le porrà anch'essa dei freni sui suoi modi di fare e uno stile di vita completamente libertino senza alcuna inibizione. Anche le sue illusioni risentiranno dell'ambiente cattolico in cui è vissuta, mostrando alcune immagini sacre che la impressioneranno molto e la aiuteranno a non commettere atti dei quali potrebbe pentirsi. Le illusioni saranno via via sempre più cupe e funeste fino ad arrivare al climax con tutti i suoi spettri riuniti e pronti a farla cedere. In questi frangenti viene creata un'atmosfera di forte impatto. Lei si muoverà in varie situazioni incontrando personaggi molto particolari che comporranno un racconto molto variegato e che mantiene sempre alto l'interesse. Il tutto è sviluppato con molta cura, anche il racconto è stato forse diluito un po' creando alcuni frangenti in cui c'è un eccessivo rallentamento. Il film sembra voglia dimostrare come sia necessario svincolarsi dai preconcetti e ragionare seguendo le proprie convinzioni, oltre a riuscire a creare un'analisi psicologica di una donna tradita in maniera eccellente, passando le varie fasi che si trova a dover affrontare. Fellini mette in scena la difficoltà di adattarsi alla realtà che spinge la protagonista ad evadere nella fantasia. Viene inoltre portata avanti l'idea che non ci sia bisogno di rivolgersi a ciarlatani o organismi che promettono spiritualità, ma basta sondare il proprio io per trovare le risposte. La regia è eccezionale, con una cura e un dinamismo unici, che creano delle scene bellissime. La macchina da presa si muove sinuosa nelle ambientazioni calando pienamente lo spettatore nella vicenda. Vengono effettuati dei piani sequenza veramente belli e c'è un uso ottimo delle soggettive che riescono a trasmettere le sensazioni provate dal personaggio. Particolarmente riuscite sono le soggettive di Giulietta quando si riprende conoscenza dopo la seduta spiritica o quella mentre va nella camera della vicina durante la festa. Le inquadrature sono talmente studiate da spostare degli oggetti in modo da avere delle prospettive e dei riflessi impossibili, ma visivamente interessanti. La fotografia e la scenografia sono ottime, con delle ambientazioni molto colorate e composte alla perfezione in modo da dare sempre le sensazioni volute. I colori sono sempre molto accessi, i costumi sono molto kitsch e anche gli ambienti interni sono arredati in maniera vistosa e originale, in modo da rispecchiare molto il carattere di chi vi vive. Anche il montaggio è veramente ben fatto con delle transizioni molto curate e in alcuni momenti riesce a dare molta forza alle scene, come ad esempio quando Giulietta parla con il maestro spirituale. La colonna sonora è veramente intrigante e riesce a creare un'ottima atmosfera, alternando toni spensierati ad altri più cupi. Gli attori recitano bene, alcuni dei quali volutamente un po' sopra le righe, e riescono a tratteggiare bene i propri personaggi, i quali restano impressi per via delle loro particolarità. Le interpreti che convincono maggiormente sono Giulietta Masina e Sandra Milo, anche grazie al rapporto che si crea fra le due. Quindi, questa è un'opera bellissima, che può ricordare 8 e 1/2 senza raggiungerne di poco la bellezza, ma che usa dei toni molto più tetri, per sondare lo smarrimento della povera donna che diventa tangibile anche per lo spettatore grazie ad una tecnica sopraffina ed una ricercatezza visiva rara.